Wednesday, August 09, 2006

C’è stato per me un momento, non troppo lontano, non abbastanza lontano da non averne nostalgia, in cui i giorni sembrava scorrere su sentieri e binari di cui credevo di conoscere il senso e la direzione. Era il tempo in cui immaginavo spesso il destino, e lo immaginavo come un filo di lana o di seta, ingarbugliato in milioni di nodi con uno o chissà quanti altri fili. Destini.
Un capo nelle nostre mani, inconsapevoli. L’altro sperso oltre la linea dell’orizzonte, oltre le nuvole del domani. Chi può dire dov’è che si trova l’altro capo del filo, dove un giorno ci si fermerà con la matassa tra le mani a guardare indietro, verso milioni di passi ormai cancellati.
Sono fermo ormai da troppo tempo.



Ascoltate!
Se accendono le stelle,
vuol dire che qualcuno ne ha bisogno?
Vuol dire che qualcuno vuole che esse siano?
Vuol dire che qualcuno chiama perle questi piccoli sputi?

E tutto trafelato,
fra le burrasche di polvere meridiana,
si precipita verso Dio,
teme d’essere in ritardo,
piange,
gli bacia la mano nodosa,
supplica
che ci sia assolutamente una stella,
giura
che non può sopportare questa tortura senza stelle!
E poi
cammina inquieto,
fingendosi calmo.
Dice ad un altro:
«Ora va meglio, è vero?
Non hai più paura?
Sì?»
Ascoltate!
Se accendono
le stelle,
vuol dire che qualcuno ne hai bisogno?
Vuol dire che è indispensabile
che ogni sera
al di sopra dei tetti
risplenda almeno una stella?


(Vladimir Majakovskij, 1914, ASCOLTATE!)

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