Tuesday, October 31, 2006

Egoarchia

Quante volte abbiamo parlato dei nostri domani, della nostra felicità. Non ricordo più quali erano i nostri pensieri allora (sembra passato talmente tanto tempo), non ricordo se avevamo certezze. Quello che so, quello che la vita mi ha detto, risvegliandomi da un sogno dolce e tiepido, è che la felicità è rara ed è un istante. Un istante inseguito silenziosamente ed in punta di piedi ogni singolo giorno, ogni notte. Ma che non è altro se non la corsa senza freni di un istante, cui può seguire una eternità lasciva ed ebbra di nostalgia, di domani senza più futuro.

Ognuno, in ogni istante, spera immagina il domani.
Il mondo stesso è rinchiuso in cristalline campane di felicità. Si è nell'attesa di quel fascio di sole cui affidare lo sguardo, dimenticando agli angoli dei giorni già trascorsi ombre e sorrisi smorzati. Perché i sogni – e così la speranza e le lacrime – sono fatti della stessa pasta del domani. Quante volte ripercorriamo in punta di piedi le strade che i nostri pensieri hanno voluto timidamente tracciare, barcollando tra i tramonti che abbiano vissuto e le albe che possiamo ancora solo sognare, con i battiti in gola, ma sorridendo ad ogni nuovo respiro, sentendo che le attese d’oggi saranno presto o tardi raggianti certezze.

Avrei dovuto imparare a vedere in ogni giorno un sentiero, a volte duro, pesante, altre apparentemente spianato e con non molte difficoltà. Capire che a volte ci si ferma, dopo aver battuto mille e ancora mille miglia, ma con davanti ancora sterminato l’orizzonte, ci si ferma. Ed è come se l’intero mondo si fermasse con te in quel preciso istante, mentre niente si ferma davvero, e tutto d’intorno avanza. Non si adombra il sole, non svanisce la notte. Finché il cammino - in un determinato istante forse prescritto dal fato, ma non umanamente deciso - riprende, fino alla prossima sosta o fino all’ultimo dei giorni. Lo sapremo solo quando saremo arrivati, e forse sapremo darci una risposta a quel respiro, quella domanda, quella preghiera in fondo al cuore.
Ma anche quando i nostri passi appariranno già posati, lungo strade già altre volte superate, quando faremo strade che crederemo conosciute, quei nostri passi non saranno gli stessi. Simili, non uguali. Perché saremo noi a non esser più gli stessi. E non so dove mi porteranno i piedi e i giorni. Solo un passo dietro l’altro, il resto verrà. Bra

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Friday, October 27, 2006

Forse l’aspirina non serve

(21/10/2006) È possibile che, dinanzi ad un infatuazione, l’organismo abbassi le sue difese immunitarie? Non sono certo sia stato così per me anche in passato (è trascorso troppo tempo dall’ultima volta), ma forse non è solo una coincidenza questo mio stato di spossatezza semi-influenzale.

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La vita dura del bravo cittadino


(20/10/2006) Premessa. Indipendentemente dal momento in cui posterò questo scritto, sappiate che mentre scrivo la notte è già in fase discendente, la mia testa è pesante e il mio stomaco sottosopra. È probabile, dunque, che risulti più dislessico e oscuro del solito.

Bra, appena sveglio, con gli occhi ancora appiccicosi e lo stomaco vuoto (visto che Meme aveva conquistato l’ultimo yogurt in frigo), imbocca direzione della biblioteca. Lungo la via, nota un cumulo cartaceo di documenti impiastricciati incollati all’asfalto inumidito dalla pioggia dell’alba. Rimane qualche secondo in dubbio, poi si ricorda di essere un buon cittadino, li raccoglie, li mette in borsa, poi si avvia finalmente verso la biblioteca.

Terminato le proprie ore di lavoro torna a casa, inizia a pulire i funghi e a cucinare per 6 (via Mascarella 60 è ormai un piccolo centro sociale occupato). Vuotati i piatti e scambiate due chiacchiere, in piena digestione inizia il tour del bravo cittadino, con le varie tappe burocratiche. Bra cerca su internet di recuperare un recapito telefonico della povera matricola, sfigata, ormai senza carta d’identità, patente e Postapay. Niente. Allora va al comando di polizia. Ma no, loro non posso prenderli, deve andare in questura (dall’altra parte della città). Intanto lo spettro del cattivo cittadino si fa strada, serpeggiante. Infine dopo essere stato dirottato per tre volte da tre diversi poliziotti in tre diversi uffici, Bra ripensa ad un vecchio cartoon di Asterix e Obelix, adorato da bambino, in cui i due eroi erano funambolicamente sballottati tra mille piani e uffici per beghe legali. Trovato l’ufficio adatto, il buon cittadino Bra viene anche infimamente sbeffeggiato dall’impiegato, che alla domanda “devo lasciarli a voi ‘sti documenti”, risponde con sagace sarcasmo “e che vuoi tenerteli tu?”. Applausi per lui.

La sera festa di laurea. Tutti si laureano tranne Bra. Al buffet si rischia l’infarto, ma la serata nasconde un ulteriore sorpresa: visita ad uno strano Jamaican Pub fuori Bologna. Musica reggae, tavole da surf alle pareti, atmosfera colorata, padelle ricolme di frutta esotica (mai vista prima) e succo alcolico e analcolico con lunghissime cannucce. Locale molto particolare, una piacevole scoperta.

In conclusione: Una giornata insolita, condita anche da un ingrediente che forse potrebbe fruttare qualcosa nel futuro prossimo, ma di cui non dirò (almeno per ora).

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Moralità, non moralismo.

(18/10/2006)
Perché in Parlamento possono sedere senatori indagati e condannati (per reati come concussione e corruzione), ministri arrestati e incarcerati per reati commessi nell’esercizio della propria politica, governanti e rappresentanti della Repubblica italiana che usano il tricolore come un rotolo di carta igienica, ed essere comunque chiamati Onorevoli?


Perché tra i mille cavilli della legge italiana non ne esiste uno che vieti a chi è stato condannato per reati mafiosi di far parte di giunte e commissioni antimafia?

Perché a dirigere il paese e il mondo c’è gente più ignorante di me (e non mi ritengo un liminare)? La domanda è: come avviene la scelta delle liste di parlamentari all’interno dei singoli partiti?

Forse si può sedere in parlamento senza conoscere la rivoluzione francese né la data dell’unità d’Italia, ma può chi governa non avere la minima idea di cose assolutamente attuali? (esempio: cos’è Al Jazeera? Cos’è/dov’é il Darfur? Dove si trova Teheran?)
Dunque la domanda è: come avviene la scelta delle liste di parlamentari all’interno dei singoli partiti? Possibili risposte: a) giocando a mikado; b) come per la nomina dei capi-classe al liceo; c) Test di Cooper.

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Sunday, October 15, 2006

Bologna 451


Ho iniziato giovedì il mio tirocinio universitario presso la biblioteca Ruffilli. Il mio è un lavoro ambizioso ed un po’ sacrilego: aggiornare la sezione storica della biblioteca, ossia selezionare alcuni volumi da eliminare e destinare al macero, per far spazio a nuovi volumi. Chi come me ritiene i libri qualcosa di sacro può immaginare quanto sia dura scartare un libro, conoscendo quale sarà il suo destino. Vi è poi la tentazione illiberale di abusare del proprio “potere decisionale” per eliminare certi libri poco amati (vedi il libro della Fallaci capitatomi tra le mani), ma il buon senso alla fine vince.
Ho comunque proposto al responsabile della biblioteca di permettermi di salvare parte dei volumi, esiliandoli in casa mia, ma temo che le mie 50 ore di lavoro termineranno ahimè prima che ciò sia possibile…


«Riempiti gli occhi di meraviglie, vivi come se dovessi cadere morto fra dieci secondi! Guarda il mondo: è più fantastico di qualunque sogno studiato e prodotto dalle più grandi fabbriche» (Fahrenheit 451)

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Deserti (1)

Kasimir Malevich, Cuadrado negro y cuadrado rojo

Alle mie spalle, granello dopo granello,
scivolano, dimenticati, i resti acuminati di una vita.
Sabbia e nostalgia.
Dietro di me, le sagome di ieri muoiono ormai,
assorbite, slavate, dall’à plat di ricordi sullo sfondo
Silenzi e lacrime.
Alle mie spalle, più non ricambia lo sguardo
lo specchio dalla cornice ossidata.
Crepuscoli e salsedine.

Sul limine falbo di una primavera nuova
nel chiaroscuro sfollato da immagini, vacante,
con mano ferma il cuore affastella in cumuli inerti.
E l’unica evidenza oggi è sangue:
- sputato dalla bocca, rappreso in gocce catartiche,
sudore e lacrime rosse -
L’unica certezza, fiele:
- corroso in fondo il mio stomaco, grondante
di attimi distanti, ora annientati
nella peristalsi cadenzata del teatrino della vita.

Solo polvere ormai sulle mie mani.
Davanti ai miei occhi, ancora socchiusi,
nuove attese e tramonti.

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Wednesday, October 11, 2006

Sporca ipocrisia (quando in vena il sangue si rivolta)

(07.10.2006) Giovedì sera ho guardato il nuovo programma della coppia Santoro-Travaglio, che trovo ottimo e interessante. La puntata affrontava in maniera non didascalica e retorica l’“argomento Mafia”.

Mi allora tornata in mente un’immagine di non molto tempo fa: Cuffaro, presidente della Regione, che mostra la maglia del Palermo per l’occasione con lo slogan «La Mafia fa schifo». Non mi sembrava vero. Si, si trattava proprio di Salvatore Cuffaro, il cui slogan alle ultime elezioni (ahimè) vinte contro la Borsellino era «la famiggliaa».




Magari non tutti lo conoscono, dunque prenderò in prestito da Aristotele un semplice sillogismo:
A: La Mafia fa schifo. (Su questo siamo tutti d’accordo, mi auguro almeno)
B: Cuffaro fa schifo.
= Cuffaro è … (lascio a voi la conclusione, volendo potete anche invertire la tesi B con la conclusione, il risultato non cambia).

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Il destino, lì dietro l’angolo.


(05.10.2006) Forse è vero che il destino si manifesta attraverso alcune circostanze, o meglio coincidenze. Ma se è così, io non ho mai saputo interpretarle, leggerle:

Bra tornava ieri sera da un impegno scout, annoiato per la riunione inutilmente lunga e noiosa, ma pronto a rifarsi raggiungendo in piazza il neo-coinquilino ed altri amici. Senza un motivo apparente inizia a pensare a Lei, a quella sera insieme nella Bologna deserta, alle sue parole, al suo momentaneo sentirsi bene, dopo tanto tempo. Questo repentino flusso di pensieri lo sorprese, perché - benché altre volte quel suo viso ne aveva sfiorato i pensieri – non era più stato così vivido. Fu allora che la vide sfrecciargli davanti con un vassoio in mano carico di bicchieri.
Restò folgorato per un millesimo di secondo, impietrito dinanzi quella epifania: «Cosa faccio? Dovrei salutarla? Ma sta lavorando… e poi non si è mai più fatta sentire… Non mi ha visto o mi ha ignorato? No, non credo mi abbia visto…».
Bra raggiunge gli altri, fa finta di nulla, ma sottopelle pensa ancora a lei. Decide di accantonare quel pensiero. L’indomani però, all’ennesima passante scambiata per Lei decide di fare un tentativo. Le invia un messaggio per chiederle come stava, come aveva trascorso quei due mesi, e aspettare la sua reazione.
Ma dall’altra parte nulla. Silenzio.

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Sotto un ponte – Epilogo

(04.10.2006) Quanti di noi hanno almeno nella loro vita fatto un trasloco sanno come questo possa essere una gran avventura, con tocchi di grottesco ad alto tasso folclorico quando a traslocare è un fuorisede, nella fattispecie un meridionale. Ma pur nelle varianti personali, il rituale solitamente segue uno schema consueto e ancestrale. Ma non è stato così per me, non in questo ultimo caso.
Il trasloco ha avuto luogo alle 2 circa della notte, dopo una cena leggera a base di ravioli, funghi, prosciutto cotto e panna, dopo una digestione alcolica a base di un po’ di limoncello e molto rum. In realtà non restava molto da trasportare, avendo già gradualmente sgombrato gran parte della mia roba da quella che sarebbe stata la mia camera ed ora è la singola di Andrea. Sono comunque riuscito a dimenticare l’accappatoio e la stampante.
L’ingresso notturno in casa è avvenuto non proprio silenziosamente, barcollando nel trasporto dei rimanenti scatoloni. La chiave ha azzeccato l’ingresso della serratura dopo 5 minuti buoni,vi lascio immaginare il tempo servito a dotare di lenzuola il letto (sul soppalco!).
All’alba gli operai addetti al rifacimento della facciata di fronte, mi hanno dolcemente dato il buon giorno, prima con il canto a cappella di un operaio solista che si è esibito ne “Il ragazzo della via Gluch”, forse suo cavallo di battaglia, poi, in azione corale a dargli giù di martello in un inatteso concertino hard-rock, ricordandomi così che quello era l’ultimo giorno disponibile per la consegna del mio penultimo esame.


Nelle due foto potete vedere i miei coinquilini: Meme, Karl, e Vladimir I.

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Monday, October 02, 2006

Suprematismo

Kasimir Malevich, Suprematismo no. 56

Più non graffiano i fantasmi purpurei
sublimati lentamente nel suprematismo danzante
di passi assemblati su tele vergini e asettiche
nell’illusione di un muro in trompe-l’oeil che fragile
svanisce polverizzandosi in un pulviscolo indistinto.
Quello sguardo, alle mie spalle, più non ferisce:
polvere ora ricopre sottopelle segni antichi
mentre, rappreso, il sangue si affranca
da quel fondale ingannevolmente onirico
e tra dune di giorni nuovi
si coagula su greti liberi, braccando già il mare.

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